EDUCAZIONE FINANZIARIA E I NUOVI ITALIANI


UN’INDAGINE DEL MUSEO DEL RISPARMIO E DI INTESA SANPAOLO CONDOTTA DA IPSOS FA IL PUNTO SU ESIGENZE CONOSCITIVE E DI INTEGRAZIONE DEGLI STRANIERI IN ITALIA

· Basata su un campione rappresentativo della realtà italiana per profilo sociodemografico
· Gli intervistati sono immigranti economici, con risorse contenute, per i quali gestire bene denaro e risparmi è ancor più importante
· Emerge un basso grado di conoscenza, non molto diverso da quello degli italiani
· Maggiore integrazione corrisponde a una maggiore consapevolezza rispetto al bisogno di educazione finanziaria
· Chi è meno istruito chiede strumenti semplici e risposte immediate esottolinea di non avere tempo per la formazione
· La mancanza di educazione finanziaria rende gli immigrati più vulnerabili rispetto a frodi e forme di sfruttamento finanziario

Torino, 24 gennaio 2019 – L’educazione finanziaria e i nuovi italiani è l’indagine che il Museo del Risparmio presenta oggi a Torino in una giornata di lavori con associazioni del settore ed esperti: una ricerca condotta da Ipsos nel corso del 2018, sulla base di un campione rappresentativo per provenienza, permanenza nel paese (da 3 tra a 10 anni), titolo di studio, occupazione e genere.
Gli stranieri intervistati sono immigrati economici residenti in Italia, per i quali la gestione del denaro e del risparmio è un aspetto doppiamente importante al fine di essere cittadini attivi e per gli obiettivi che si sono dati nel lasciare i paesi d’origine. Per la prima volta una ricerca si concentra sul loro livello di alfabetizzazione economico-finanziaria. Il quadro è articolato, ma con un dato di sintesi significativo: il grado di conoscenza è vicino a quello degli italiani, addirittura superiore nel caso delle donne provenienti da Europa dell’est e America del sud. Il 30% degli immigrati intervistati possiede infatti le conoscenze necessarie per rispondere alle cinque domande utilizzate per testare l’educazione di base.
Con l’aumentare del livello di difficoltà delle domande, si verifica un fenomeno già noto in questo genere di ricerche, ovvero il bias cognitivo per cui il 28% pensa di saper rispondere correttamente, mentre in realtà le risposte sono errate. La percentuale, anche in questo caso, si avvicina a quella rilevata tra gli italiani.

Il 63% del campione si sente abbastanza integrato, con un picco per est europei e sudamericani, in particolare se in possesso di un titolo di studio e se inseriti in un contesto positivo di relazioni sociali. La permanenza in Italia varia da tre a 10 anni e quasi il 90% conosce la lingua in maniera adeguata. Pochi però frequentano corsi, anche se maggiori competenze linguistiche favorirebbero la loro integrazione. Le condizioni lavorative sono generalmente regolari. Prevalgono lavori manuali: operai, domestiche, badanti, impiegati, camerieri, cuochi, pizzaioli. Molti non hanno avuto precedenti esperienze lavorative nei paesi di origine.

Il 49% dichiara di riuscire a risparmiare, spinto da un “bisogno di tranquillità” e il 21% riesce a mettere via più del 20% del reddito. L’obiettivo principale (77%) è realizzare progetti in Italia. Tra i risparmiatori emergono cinesi, est europei e sud americani. In alcune etnie il concetto di risparmio, per cultura e tradizione, è meno radicato: è il caso di alcune popolazioni africane, ma tra gli immigrati di seconda generazione tali differenze risultano meno evidenti. Il 42% non invia denaro a casa o lo fa occasionalmente e comunque tende a diminuire le rimesse con il prolungarsi della permanenza all’estero.

Le ragioni dell’arrivo in Italia sono la ricerca di una migliore occupazione (32%) e il ricongiungimento familiare (30%). Tuttavia, spesso si dicono delusi poiché vivono in condizioni di precariato e il reddito di cui dispongono è sufficiente solo per sopravvivere. Nel 20% dei casi il tenore di vita nel paese d’origine viene definito superiore a quello in Italia.
Raro che abbiano potuto beneficiare di programmi di inserimento; hanno ricevuto aiuto per lo più da familiari e amici presenti in Italia da più anni e dalla comunità etnica di riferimento.
Un maggior grado di integrazione corrisponde inoltre a una maggiore familiarità con i prodotti finanziari. Dai focus group si evince un certo interesse ad approfondire aspetti specifici e concreti, vi è però scarsa fiducia negli operatori finanziari. Il 45,5% del campione non sente la necessità di avere informazioni aggiuntive perché ha una gestione semplice del denaro.
Un elemento caratterizzante è la mancanza di tempo per approfondire: vorrebbero avere risposte immediate e “spicciole”, con il rischio quindi di non arrivare a una competenza finanziaria più solida. La maggior parte non conosce prodotti e servizi finanziari che vengono percepiti come poco interessanti per chi ha un reddito basso. Solo il 19,5% possiede almeno tre prodotti finanziari e solo il 13% ha una casa di proprietà.
Cosa fare dunque in concreto per arginare forme di autoesclusione che possono poi rendere più vulnerabili e meno autonomi nella realizzazione di propri progetti? Per Giovanna Paladino, direttore del Museo del Risparmio: “Bisogna partire dalla scuola e dalla conoscenza linguistica per creare le basi di una cittadinanza attiva. I corsi a distanza possono essere una soluzione pratica per gli adulti che dicono di non avere tempo. Tuttavia, lo sforzo dovrebbe essere quello di far comprendere il valore dell’educazione alla gestione del denaro.
Chi ha meno risorse deve, almeno in parte, imparare a far da sé e saper riconoscere chi è degno di fiducia. Per questo motivo avere chiari concetti come relazione tra rischio e rendimento, diversificazione o pianificazione è particolarmente importante. In questo modo il risparmio non sarà solo finalizzato a un bisogno di tranquillità, ma anche alla realizzazione di progetti di vita”.

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